lunedì 20 luglio 2015
Nashville & Backbones - Cross the River
Alea iacta est
La mia paura più grande fin da piccolo è stata quella di chiedermi che cosa accadrebbe se i miliardi di milioni di combinazioni che si possono ottenere mescolando le 7 note, un brutto giorno potessero finire... poi arrivano dischi come Cross the River e il mio cuore continua a battere felice perchè capisco che la musica non finirà mai di circondarmi, di abbracciarmi, di stupirmi, di darmi gioia e di inondarmi di voglia di ascoltarla e cantarla.
L'acqua del fiume che i N&B mi invitano ad attraversare mi travolge di suoni, di colori e di voci tra le più incredibili che mi sia capitato di ascoltare. É veramente difficile, direi quasi impossibile, riuscire a focalizzre le senzazioni e le emozioni perchè immediatamente, dopo ogni brano, si apre un mondo nuovo, a parte, che mi porta a visitare luoghi fisici e musicali apparentemente distanti l'uno dall'altro ma nello stesso tempo così vicini e coesi da creare un sistema solare a sé stante. Tecnicamente e musicalmente i N&B cono incredibili, riescono a far apparire semplici cose di una difficoltà estrema, continui cambi di tonalità, scelte armoniche ardite e sopraffine, armonie vocali che volteggiano su scale cromatiche apparentemente impossibili, una sorpresa dopo l'altra, il tutto prodotto a livelli di grandi studi di registrazione dal maestro Cristian Bonato. Un disco da ascoltare, riascoltare e ri-riascoltare tante sono le sorprese che riserva e che sancisce definitivamente ed universalmente il "sound" della Band che ora è unico e riconoscibile.
Tell It Like It Is apre il disco con gli impasti vocali degli "originali Nashville Trio" ed è l'inizio del viaggio, sembrano dirmi... noi eravamo così ed adesso invece siamo... e parte Stone... una travolgente e abbacinante galoppata che vede i 6 componenti del gruppo esprimere il loro meglio; non riesco a trattenere la voglia che mi sale di dimenarmi, battere le mani e urlare a scuarciagola HEYYYY.... il violino di Elisa Semprini cuce e ordisce trame musicali che tessono un arazzo musicale perfetto, da ascoltare, ballare ed osservare.
Clueless è una rosa nel deserto, un perfetto equilibrio tra sapidità, dolcezza e asprezza, le mani magiche di Hilario Baggini che sfiorano percussioni, corde, pelli... la tromba di Rico "Mariachi" Farnedi che si insinua sotto la pelle e me la solleva provocandomi brividi inenarrabili... "Despistado" è come aver fatto indigestione di funghi Peyote, viaggio con la mente e con il corpo in terre desolate a bearmi del mio stato di totale incoscenza. Una droga di canzone di quelle che rimangono in testa per giorni e giorni e che mi trovo a canticchiare nei momenti più improbabili.
Coming Home mi riporta all'urbanità ma di quelle belle, fatte di casette bianche con cancellate bianche e giardini curati, penso che se Dawes, Zac Brown e soci avessero un pezzo come questo lo troveremmo nelle Bilboard; è così bello ed etereo che mi sento di poter camminare sulle acque del fiume che sto attraversando.
Hold Me è la prima "classic N&B ballad" ma anche qui qualcosa mi provoca una sensazione di appagamento totale, una beatitudine corporea razionalmente inspiegabile, sarà la fisa, sarà la tromba sarà la voce particolarmente ispirata di Michele Tani... o sarà semplicemente che questo è un gran bel disco?
Spirit of the Summer è IL singolo dell'estate, è il Mojito targato N&B gli ingredienti sono tutti in "levare" e sono tutti giusti, un up-tempo che crea un'atmosfera di quelle irripetibili, calda e ammiccante, sul disco la versione è quella "long" con assolo seventeen style di "Marce Carlos Dolci" e "Miky Wakeman Tani"; un brano contagioso fino all'inverosimile.
Sembra facile scrivere un brano di "country-rock" ma farlo bene come This Song non è affatto semplice... è la storia di come si costruisce una canzone e le voci di veri statunitensi all'interno del brano si chiedono la stessa cosa... trascinante, allegra, ironica e immediata.
Con Photograph ritrovo le tracce di Haul in the nets che fino ad ora erano rimaste nascoste, ma anche qui i N&B alzano ancora una volta l'asticella e nonostante la costruzione semplice, il violino, il banjo, i cori e il "lalala", la canzone non risulta per niente scontata anzi, è una piccola pepita sulla riva del fiume, evocativa e maledettamente affascinante.
Sono al centro del fiume: Cross The River è la canzone più sgangherata, paradossale e geniale che i N&B potessero pensare di realizzare, muta, si trasforma, cambia, parte come una western song, poi diventa una ballad, ritorna west, sfocia nel mare del progressive, sfiora l'irish, ci fa conoscere la voce di Elisa Semprini prima di ritrasformarsi "RokyHorrariamente" in una ballad e di lasciare una prateria sconfinata da percorrere alla chitarra di Claudio Cardelli (uno che ha fatto la storia), per ritornare all'inizio di tutto. Un labirinto di suoni, soluzioni, magiche armonie... un capolavoro, una "suite" come non la ascoltavo da tempo, scritta ed eseguita con tanto coraggio e talento esagerato.
Thinking Of You è nella tradizione "americana" e della "west coast" da sempre alle radici della musica di N&B, mi sorprende ancora una volta come l'apparente semplicità di esecuzione mascheri un lavoro certosino di intrecci vocali e di strumenti risultando fresca, allegra e coinvolgente... una di quelle song che appena intercetto il primo accordo è capace di mettermi di buon umore.
On Parole è in sintesi Ennio Morricone che fa surf a Big Sur dopo essere passato da Austin, incredibilmente efficace, dura come una roccia e morbida come la sabbia.
Backbones è una storia vera! La storia della spina dorsale dei Nashville ... nulla di scontato, cambi di toni, ti tempo, di ritmo, bridge a non finire e cori a profusione, è una bomba pronta ad esplodere con tanto di finale a sorpresa!
Stood On The Hill evoca dentro di me i ricordi mai sopiti degli anni '80, nostalgica, intensa, evocativa e piena di colpi di scena, quello che adoro di N&B è che non sono mai scontati, non sono mai quello che mi aspetto, continuano a stupirmi e sorprendermi e improvvisamente come in una notte buia partono le voci come fuochi d'artificio a colorare il cielo sopra un solo di "synt" di altri tempi... da brividi!
Nashville, nell'immaginario collettivo, è associata alla Musica Country e se all'inizio i nostri mi hanno detto ecco noi eravamo in tre e suonavamo così, alla fine mi dicono, ecco noi siamo in 6 e possiamo suonare così... The Ballad Of Recap è un riassunto, un "bignami" in 3' e 25", la perfetta chiusura del cerchio di 14 e dico 14 brani di cui uno di quasi 13 minuti, con tanto di risata finale di Marcello che racconta molto di come questi ragazzi si divertano davvero a fare quello che fanno.
La spina dorsale composta da Dave (Basso) e Tommy (Batteria) sostiene meravigliosamente ed impeccabilmente, senza fronzoli e sbavature il tessuto vocale e strumentale ordito da Marce (Voce e Chitarra), Teo (Voce e Chitarra), Miky (Voce e Tastiere) ed Ellish (Voce e Violino) sesta vertebra insostituibile della band.
Non ho bisogno di cercare altro oltre oceano, altri dischi, altri gruppi... perchè Cross the River è la Treccani della musica è il concentrato di tutto quello che vorrei trovare in un disco. Divertimento allo stato puro per il cuore e per la mente, suonato, cantato e prodotto come dio comanda, quel dio della musica che secondo il suo libero arbitrio e a suo imprescindibile giudizio, ogni tanto decide di inviare sulla terra i suoi profeti. Cross the River si candida seriamente per il posto di DISCO DELL'ANNO... e una volta attraversato il fiume... anche voi come me, non potrete più tornare indietro!!!
venerdì 15 maggio 2015
The Tallest Man On Earth - Dark Bird Is Home
Busted!
Come questo piccolo uomo riesca a provocarmi emozoni musicali inenarrabili resta un mistero inesplicabile, sta di fatto che dopo appena due accordi e 4 parole sento l'intestino stringersi, aggrovigliarsi e lo sento gridare di voler uscire. Non serve nemmeno chiudere gli occhi perchè la voce e la musica di Kristian mi proiettano in qualunque momento, in qualunque situazione in un universo a parte dove le emozioni più recondite, le lacrime mai piante, le ferite mai rimarginate, la storia della mia vita scritta e ancora da scrivere mi vengono strappate dall'anima da una mano invisibile che le porta fuori e me le sbatte in faccia. Non credo sia mai esistito o esista nessun altro che sia mai riuscito a fare quello che riesce a fare Kristian con la sua musica, ad ogni brano è come se tutto quello che porto dentro venga spinto fuori come l'aria quando si ha un macigno sui polmoni; é una attesa mai espressa, un desiderio di qualche cosa, un tendere al realizzarsi di un sogno... quello che mi fa letteralmente impazzire è che non è razionale, è la pancia che governa le emozioni più vere e la pancia... la sento scoppiare. La mia percezione della musica è del tutto emozionale, non mi importa chi, con chi e di che musica si tratti... la musica mi arriva e quando lo fa mi investe come uno tsunami e spazza via le mie deboli difese in un attimo, mi lascia nudo, senza difese al cospetto con la parte più vera, più nascosta più misteriosa di me stesso, quella parte che tento di negare, di nascondere, di cancellare sovrapponendovi pensieri, azioni e ragionamenti che davanti a questo Dark bird is home non mi lasciano alcuno scampo e provo un sadico compiacimento nel rigirarmi in questo stato di dolorosa presa di coscienza di quello che realmente sono, di quali siano i miei desideri e di quello che potrei e dovrei essere... così continuo ad ascoltarlo... a nastro, senza avere una canzone o un riff preferiti ma abbandonandomi totalmente alle maree di emozioni che il disco mi elargisce copiosamente ogni secondo che passa.
Emozioni, emozioni ed ancora emozioni come in un pozzo senza fondo che anelo percorrere per sempre.
lunedì 16 marzo 2015
...è così che si fa!
...da Dirty Roads a The Ghost King, 10 anni di Miami & the Groovers
Ieri durante il concerto pomeridiano al Teatro Comunale di Cesenatico in occasione della presentazione di The Ghost King c'è stato un momento, durante il ricordo del 10° anno dall'uscita di Dirty Roads, che mi ha fatto tornare indietro nel tempo fino ad un giorno di Marzo del 2005 quando in studio alle Backstreets vennero ospiti, per presentare il loro primo disco, i Miami & the Groovers che dopo tante cover portavano in dono un regalo prezioso, una manciata di brani loro freschi, spontanei e nuovi di zecca. I tempi non erano quelli odierni, la musica originale a Rimini non stava a cuore a nessuno, soprattutto quel genere di musica che dopo l'ondata a seguito di The Rocking Chairs negli 80-90 era scemata nell'interesse collettivo. Credo che Dirty Roads sia stato un puro gesto di cuore, un messaggio lasciato in una bottiglia 10 anni fa.
La storia della band era ancora tutta da scrivere, c'erano speranze, grandi progetti ma anche un muro di difficoltà da superare, quel muro che vede le band indipendenti soccombere al mercato discografico. Ieri, 10 anni esatti dopo, ho visto Lorenzo cantare nuovamente quelle canzoni e mi sono commosso perchè ho rivisto in lui lo stesso atteggiamento, lo stesso sguardo, la stessa voglia, lo stesso cuore, la stessa fiamma negli occhi e la stessa anima che avevo visto 10 anni prima davanti a me in quello studio radiofonico. Vederlo così mi ha fatto pensare che quella storia, iniziata 10 anni prima, ora è stata scritta indelebilmente col fuoco della passione, della tenacia e dell'amore per quello che Lorenzo ha sempre desiderato.
Si può credere che io non sia obiettivo quando parlo di Miami & The Groovers, pensatela come volete ma dico solo che se ora a Rimini c'è "fermento musicale" è merito in gran parte di Lorenzo e dei Miami che hanno tracciato un solco profondo e diritto al centro della musica.
La maturazione musicale, l'approccio al pubblico, riuscire a trasmettere veramente quello che ha dentro, Lorenzo lo ha dimostrato appieno ieri pomeriggio, durante un concerto che nulla ha da invidiare a quelli dei nomi che ci accalchiamo per andare ad ascoltare nei palasport e negli stadi... Conosco Lorenzo da più di 10 anni e sono legato a lui da un rapporto di amicizia, questo può portare ad ofuscare l'obiettività nel bene ma anche nel male... ma io vi assicuro che quando è sul palco... beh... non c'è amicizia che tenga... subentra la stima e l'ammirazione per una persona che ha lavorato duro per ottenere tutto quello che ora sono Miami, che ha dato tempo, cuore ed anima per ottenerlo e che ora sa come trasmettere tutto questo, come stare su un palco come scrivere e suonare una canzone e dimostrare a tanti che "è così che si fa"!
Non sono sempre stato tenero con Miami, quindi credetemi quando vi dico che Il Re Fantasma sarà uno degli spettacoli musicali che lascerà un segno indelebile dentro, non perdetelo perchè non c'è nulla di falso, di costruito e di artificiale, è lo spirito che vorrei sempre respirare ad un concerto, è il cuore che pulsa, é la pelle che si solleva, è l'emozione che mi prende è la musica che vince!
Non ho foto da postare, non ho video da mostrare... perché, in momenti come questo, tutto è stampato nel cuore, nell'anima e nella mente... e non sarà mai cancellato.
Grazie Lorenzo, grazie Groovers!
venerdì 6 marzo 2015
Miami & The Groovers - The Ghost King
In missione per conto di Dio
Un pezzo importante della mia "storia musicale" degli ultimi 10 anni passa sicuramente da Miami & the Groovers, li ho visti scalpitare, fremere, mutare, cambiare, gridare, soffrire, lottare, emozionare, crescere, cercare... tutto questo dopo ogni disco, dopo ogni concerto... non li ho mai visti perdere la forza, la carica, la speranza e la fede nel r'n'r. Quella stessa fede che riunisce tutti noi sotto un unico grande credo... la musica.
Racchiudere il rock in un disco non è facile, il rock è sudore, lacrime e sangue, è l'attesa del concerto, è trovarsi spalla a spalla con degli sconosciuti che per due ore diventano compagni di cammino, è urlare, cantare è chiedere sempre di più e ancora e ancora a chiunque in quel momento sul palco incarna il seme del rock.
Ascoltare un disco di M&TG è per me pormi in quest'ottica perchè tutto ciò che c'è nel disco lo immagino trasposto su di un palco, grande o piccolo che sia perchè l'energia, quella, rimane inalterata.
Potrei anche sbagliarmi affermando che The king is dead sia una delle canzoni migliori mai scritta dalla band... ma più l'ascolto e più sono convinto delle vibrazioni che mi arrivano direttamente dalla pancia e della mia affermazione perchè è quello che volevo sentire da Lorenzo e soci, è la risposta musicale più bella che potevano darmi alla domanda "come sarà questo disco?" il disco...è come Dio comanda! Il violino di Federico Mecozzi farebbe resuscitare i morti e quel bridge con solo finale di Alessio e Federico è più taumaturgico dell'acqua benedetta. Io ho visto la luce!
In On the Rox le luci si abbassano per evocare lo spirito di John Belushi all'interno di una delle più belle ed emozionanti ballad di Miami e se chiudo gli occhi sulle note del solo di Beppe vedo le scie lasciate dal passaggio del fantasma di John che gioca sui tasti bianchi e neri del piano di Alessio.
In ottica "live" Hey you è, e rappresenterà, la catarsi del r'n'r, canzone che ripercorre la tradizione... sapida, secca, pulita e maledettamente trascinante... pezzone!!!
Cupa. notturna e polverosa arriva Back to the wall a dipingere un chiaro-scuro di sentimenti contrastanti ad aprire spiragli di speranze di duelli con l'anima e chiudere i ponti col passato.
Amo la "fisa" e in Hallelujah man posso godere della sua straordinaria versatilità e bellezza, una canzone che non lascia tregua è contagiosa quanto il morbillo per quanto non mi lasci fermo sulla sedia e mi rimbazi in ogni angolo del corpo e della mente, sono al terzo ascolto consecutivo oops... volevo dire quarto... ed è come essere sulle montagne russe c'è tutto quello che desidero e anche di più... S P E T T A C O L O!!!
The other room è una di quelle canzoni dove Lorenzo riesce a tirare fuori il meglio di sè... accompagnato dalle voci di Michele Tani e Marcello Dolci (Nashville & Backbones) estrae dal cilindro, con una semplicità disarmante, una ballad "d'altri tempi" senza fronzoli, senza sovrastrutture, una canzone che arriva direttamente al cuore.
Don't riporta il disco sui binari del rock con sfumature "garage", i nostri si sporcano le mani e fanno lavorare il V8 dei M&TG a pieno regime.
Mi fa piacere in questo The Ghost King ritrovare un Alessio Raffaelli molto presente, regge insieme al violino Federico Mecozzi e alle voci di Michele e Marcello questa We can rise che sembra avere una marcia in più, un sapore diverso, un respiro più ampio. Toccante.
Sono particolarmente affezionato a Waitin' for my train perchè ho avuto la fortuna e l'onore di averla vista nascere in studio; è il classico esempio di come con tre semplici accordi, una chitarra, un basso ed un mandolino (Massimo Marches) si possa costruire una gran bella canzone di quelle da cantare unplugged a viva voce e da continuare a canticchiare perché una volta entrata in circolo fatica ad uscire dalla nostra mente.
Finalmente dopo averla ascoltata live, prende vita e forma in studio anche Spotlight, una gran bella lettura della vita che mi lascia pieno di speranza, è già una compagna di cammino, un'altra grande ballad.
in conclusione i M&TG continuano la tradizione "irish" e dopo We're Still Alive, presente su Good Thing, sfornano un'altrettanto trainante ed epica Heaven or hell, oltre al grande lavoro della fisa di Alessio la canzone è impreziosita dal violino di Federico Mecozzi, di grande impatto emotivo ed evocativo, una grande conclusione di album, di quelle che non si dimenticano.
I suoni sono puliti, sapidi e aridi quel tanto che basta anche nei pezzi più "tirati" non esagerano mai e questo regala un grande equilibrio generale
Il piano, la tastiera e la fisa di Alessio hanno giocato un ruolo determinante e regalato una maturità musicale mai ascoltata fino ad oggi, a volte emozionante, altre evocativo, altre ancora debordante e trascinante.
Luca Angelici e Marco Ferri non ne sbagliano una e l'accoppiata ritmica ne esce ancora una volta vincente mostrando i muscoli quando serve mostrarli e delicatezza quando l'occasione la richiede.
Gli ospiti hanno fornito quel "sapore" in più, indovinati i loro interventi con canzoni che sembrano cucite loro addosso e Federico Mecozzi su tutti regala sensazioni inenearrabili.
I testi raccontano storie legate tra di loro, rendendo l'album ancora più coeso, il lavoro più maturo dei 4 in studio, forse il meno rock ma sicuramente il più emotivamente intenso e soferto, un disco che lascia un segno e scava un solco nell'animo anche dell'ascoltatore più distratto.
Le canzoni non sono li a caso seguono un filo musicale ed una narrazione intrigante, ci vuole coraggio per fare per questi tipi di scelte la band è cresciuta e maturata sotto tutti gli aspetti, ho trovato cuore e anima e sono stato toccato anch'io dalla luce che irradia questo Re fantasma.
Lorenzo, Alessio, Beppe, Luca e Marco, ricordate che siete in missione per conto di Dio, ed è vostro ancora una volta, il compito di salvarci con la vostra musica.
martedì 24 febbraio 2015
Per chi ri-suona Rimini?
Leggo con stupore e malcelato disappunto una notizia apparsa on line in questi giorni nella quale il comune di Rimini annuncia l'apertura di un "progetto musicale per dare visibilità, attraverso un unico marchio che funga da filo conduttore, alle esperienze musicali di qualità del nostro territorio“. Questo mi lascia amareggiato e perplesso... e per pura coincidenza le date del lancio del progetto e quella della seconda edizione di Risuona Rimini a misura di stanza si sono svolte a neanche 24 ore l'una dall'altra. Rimini non è Nashville, non ci sono centinaia di band che propongono musica propria, non ci sono neppure centinaia di locali che abbiano spazi per la musica live, non mi risulta neanche ci siano festival od eventi in cui il comune abbia invitato a partecipare i gruppi del nostro territorio. Guarda caso però c'è una associazione nata spontaneamente tra i componenti delle band riminesi che da due anni sta combattendo per far conoscere la musica del nostro territorio, costretta a mendicare spazi, fondi, dedicando tempo e passione a far conoscere gli artisti del nostro territorio... il tutto fatto senza scopo di lucro, anzi devolvendo i proventi degli eventi totalmente in beneficenza.
Le domande sarebbero molte, ma a tutte è facile dare una risposta quindi a questo punto tanto vale far scendere in campo la la retorica e chiedersi a chi giova?
Perchè invece che pensare ad un progetto ex-novo non investire in una realtà già ben consolidata che opera e funziona benissimo e che anche nella giornata di domenica ha portato più di 2000 riminesi e più di 70 tra artisti e musicisti al Castel Sismondo? Io credo sia giusto sostenere e promuovere realtà che provengono dalle persone invece che proporre delle alternative costruite a tavolino perchè sono un bene comune ed un patrimonio di Rimini.. Il bene della città passa attraverso la valorizzazione delle persone non da proclami o atti pubblici o il bisogno di mettere un cappello istituzionale su tutto ciò che di buono accade. Se in questi anni la città di Rimini è stata teatro di concerti ed eventi musicali è stato solo per la buona volontà e lo sforzo di privati che hanno dato spazio alla musica... Risuona Rimini e i Glory Days sono tra le poche cose buone di musica indipendente della nostra città e Il filo conduttore c'è già, non ha colore politico ma solo un grande cuore ed una grande passione... basterebbe solo seguirlo e sostenerlo.
giovedì 4 dicembre 2014
Take me now, Patti, here as I am
Lo confesso, era il mio primo concerto di Patti Smith e quello che ho provato quando è salita sul palco è stato un insieme di sensazioni contrastanti... fragile ma nello stesso tempo dura come l'acciaio, nonna ma anche di una freschezza, forza ed energia da fare invidia ad una ventenne, una grande umanità, semplicità ed empatia ma anche circondata da un carisma che la fa sembrare ultraterrena. Lei è Patti Smith e riesce a riunire 3 o forse 4 generazioni ad ogni suo concerto, ognuna delle quali vive il momento in maniera differente ma non fa niente perchè il suo magnetismo alla fine porta tutti li dove c'è lei, alla sua presenza, alle sue parole e alla sua musica. Il tour acustico mi ha permesso di entrare in intimità con lei, di penetrare nel profondo dei testi, delle storie, dei racconti e di cogliere l'essenza di cosa rappresenti questa donna straordinaria. Si muove, parla al cuore, saluta, è felice di essere su quel palco per la milionesima volta anche se sembra la prima per quanta freschezza ed entusiasmo riesca a trasmettere. Patti brilla di luce propria e all'intro di piano di Pissing in a river la commozione ed il contatto con la sua anima è totale, avrei voluto dirti grazie Patti per avermi accompagnato con la tua musica per tutti questi anni e grazie per esserci perche senza di te sarebbe mancato qualche cosa di importante nella musica e dentro di me.
sabato 8 novembre 2014
Perdonali Syd perchè non sanno quello che fanno...
The endless nastinesss
Per quel che mi riguarda i Pink Floyd sono cessati di esistere quando Syd Barrett abbandonò il gruppo... gli altri Pink Floyd sono quelli che arrivano fino a The Wall... poi il nome Pink Floyd, nella sua accezione, è rimasto come un soprammobile solo a testimoniare il passato di una band.
In questi giorni ho sentito cose che nulla hanno a che vedere con la band... addirittura Radio24 in un suo servizio all'interno del GR, affermava una stretta parentela tra The Wall e il muro di Berlino... questa è solo una delle bestialità tra le più creative e inappropriate giunte alle mie povere e grandi orecchie.
Parlare di un nuovo album dei Pink Floyd è fantamusica... perchè non è un album nuovo, non sono i Pink Floyd e questo disco non cambierà nulla a parte il fatto di lasciarci affermare che è un disco brutto ed inutile.
The endless river è lì a testimoniare che al cattivo gusto di chi ne parla e di chi lo suona non c'è proprio fine.
mercoledì 22 ottobre 2014
Ben Howard - I Forget Where We Were
Dilaniato...
Ci sono dischi che fanno troppo male ad essere ascoltati, dischi dei quali fa troppo male parlare, dischi coi quali è difficile pensare... sono quei dischi che ti tolgono il fiato, ti sollevano la pelle, ti aprono la carne e ti mettono a nudo l'anima, sono quei dischi che non dovrei comprare, quei dischi che una volta in più mi fanno capire come la musica possa essere devastante. Dopo l'ascolto del disco di Ben Howard mi sento come ridotto alla julienne eppure non riesco a rinunciare alla musica perchè è come una droga senza di lei starei di merda e con lei, come in questo caso, sto di merda. Sono 10 leggere, impercettibili passate di un bisturi affilatissimo le canzoni contenute in questo I Forget Where We Were, mi accorgo di loro solo quando il mio corpo incomincia a sanguinare e vedo colare il caldo, viscoso liquido rosso, lo sento allargarsi sotto di me e lo guardo uscire copioso, lo guardo e non posso farci niente, lo osservo fuoriuscire e mi sento debole, impotente, sento la testa vuota, il corpo, o quello che ne resta, è abbandonato, poveri resti di carne umana che diventeranno presto un pasto per le mosche. La mia anima fluttua sopra di esso, la vedo sul soffitto che sta abbandonando le sfumature di colore per diventare sempre più nero, l'ultimo sogno cerca di insinuarsi dentro la mia debole mente, un sogno che diventa immediatamente uno sfocato ricordo e viene anch'esso inghiottito dall'oscurità. Non ho più forza per reagire è il momento di lasciarmi andare e mi abbandono definitivamente alle acque che trasporteranno quel che resta di me lontano da quel sogno, lontano dalla mia anima, lontano da tutto.
martedì 21 ottobre 2014
Cheap Wine - Beggar Town
Finché c'è musica c'è speranza...
Qualcosa di buono dobbiamo pure avere fatto in Italia per meritarci i Cheap Wine. In un paese dove la parola "meritocrazia" riempie solo le bocche di chi vuole suggestionare i più deboli di mente che vada tutto bene e che il "sogno Italiano" è ancora possibile, io sto con le parole, la musica e la coerenza di una band che col passare del tempo continua a stupirmi, a sorprendermi ed emozionarmi. In un momento in cui non è facile vendere dischi e sarebbe stato molto più fruttuoso cavalcare melodie "ruffiane", i Cheap Wine alzano le vele verso un oceano sonoro che fino a questo momento avevo potuto assaporare solo durante i loro concerti, un mare di sensazioni e di visioni che mi ha lasciato spiazzato e mi ha fatto innamore fin dal primo ascolto di questo disco. La cosa strana è che ho letto i testi http://www.cheapwine.net/pdf/beggar_town_testi.pdf solo dopo aver ascoltato il disco per più volte e mi sono stupito come le parole che la musica mi aveva suscitato, fossero quelle che Marco ha utilizzato per i testi, mai e ripeto mai, la corrispondenza tra le "mie visioni" ed i testi è stata così affine, alla luce di questo, il mio cuore mi suggerisce che Beggar Town è il capolavoro di Cheap Wine, un disco perfetto, un equilibrio straordinario, un Rum invecchiato 18 anni che a berlo ora si riesce a cogliere tutti i suoni, i sapori e i profumi dei precedenti 9 dischi.
Al di là della abilità e bravura dei nostri 5 amici, dei suoni, degli arrangiamenti... questo è un disco che spacca, un disco che dovrebbe entrare nell'antologia della musica dove suoni, testi, emozioni diventano un tutt'uno con l'anima.
Galoppate, rincorse, visioni, suoni ipnotici un continuo fluire e intrecciarsi di emozioni in un costante progredire di pathos che alla fine delle 12 tracce mi ha portato ad una totale empatia con il disco ed i suoi meravigliosi testi. I Cheap Wine, hanno osato a toccare vette fino a questo momento rimaste immacolate, se Based on lies era un disco "arrabbiato", Beggar town invece racchiude in sè una consapevolezza, una presa di coscienza che racconta e parla di una situazione concreta ma che lascia una lunga scia di speranza, sembra dirmi che non è tutto finito, che bisogna lottare e sperare e che nonostante i momenti di sconforto, oltre la nebbia c'è una luce e le tracce di questo disco mi portano diretto a quella luce.
L'amalgama del piano di Alessio ora è perfettamente riuscita e le melodie scorrono che è una meraviglia, Michele regala sprazzi, le sue chitarre sono come lame penetrano la pelle, la ritmica è solida e possente e la voce di Marco scava ancora più nel profondo.
Fog On The Highway è come se fosse da sempre stato scritto nel mio dna, penetra dentro come un coltello nel burro lasciandomi attonito a contemplare un orizzonte infinito dove vedo perdersi e convogliare milioni di note e di emozioni.
Muddy Hopes è come una Sfida all'Ok Corral è come se Clint Estwood in persona, mi urlasse di tirare fuori i muscoli perchè la sfida è iniziata e non posso tirarmi indietro, il sudore incomincia ad imperlarmi il corpo e non posso fermarmi devo essere io il più rapido ad estrarre la colt.
Beggar town è una fuga, una ricerca, un vorticoso turbinio di domande e risposte, un continuo, costante e stancante guardarsi attorno ed è come sempre la chitarra di Michele ad indicare la direzione che porta diritta a Lifeboat. L'atmosfera è proprio quella di un mare tranquillo in cui navigare per trarre respiro e porre i paletti per il futuro, questo è un viaggio, il viaggio che tutti prima o poi abbiamo intrapreso o meditiamo di intraprendere... ipnotica!
Your time is right now è un grande pezzo è il qui ed ora, il carpe diem, un alzati e cammina... il tempo è il mio, la vita è mia, sono io a decidere, non gli altri e la chitarra di Michele ancora una volta è un'onda forte ed imponente e non mi resta altro da fare se non cavalcarla ed aggrapparmi a ciò che so non mi abbandonerà mai... alla musica, la musica che non tradisce, che non delude, la musica che regala forza, rabbia, tristezza, felicità, la musica alla quale affidare la mia anima, la musica che regala speranza, la musica che salva, questa è Keep on playing e questo è il messaggio di Beggar Town.
In Claim the sun la voce di Marco sembra provenire da un'altra dimensione, dove inseguire un sogno, dove credere in un amore può dare la forza e la speranza di vivere una vita bella nonostante il grigio che ci avvolge perchè ci sarà sempre un raggio di sole a cui aggrapparci.
Utrillo's wine è un inno alla bellezza ed alla forza del momento creativo, è la catarsi dell'ispirazione il momento nel quale si è disposti a rinunciare a tutto pur di abbandonarsi al puro istinto, quel momento in cui è solo la pancia a comandare, quello che non te ne frega niente di ciò che hai attorno e senti una attrazione, magnetica irresistibile verso l'oggetto dei tuoi sogni.
Destination nowhere è la desolazone e la paura che si insinua dentro di noi ma anche quando si pensa di avere toccato il fondo basta un sorriso delle persone che amiamo per darci la spinta per tornare verso l'alto, la chitarra di Michele mi fa cadere in abissi profondi è come se mi trovassi in uno scivolo che continua a portarmi giù, ancora giù, sempre più giù.
Black man è un iseguirsi di ombre, di rumori di passi, di sospiri, una folle corsa a nascondersi lontano da paure inconscie ed irreali, vogliono farmi credere di essere quello che non sono, allora scappo e tremo, il cuore pompa come la batteria di Alan e le dita di Alessio e le gambe sono veloci come le dita di Michele.. ma l'uomo nero non esiste per chi ha la speranza dentro.
I am the scar è un urlo liberatorio, un moto di rivoluzione che parte da dentro ognuno di noi, è rabbia che esplode e lo fa attraverso la musica, la stessa musica che domina e impregna questo disco, il messaggio che mi arriva attraverso alla musica torna alla musica, la musica dona e riprende, chiede e risponde la musica è la speranza, è la forza, è tutto qyuello che desideriamo e vogliamo che sia.
Il disco si conclude con The Fairy Has Your Wings (For Valeria) ed è un augurio a tutti noi, un invito ad essere liberi e lo si può essere anche su questa terra, ora e qui.
Finchè c'è musica c'è speranza, Beggar town è un disco di speranza, è un messaggio forte da cogliere e tenersi dentro... finchè ci saranno i Cheap Wine ci sarà la musica a donarci la speranza.
mercoledì 10 settembre 2014
Rimini Risuona... eccome se risuona!!!
Rimini Risuona... eccome se risuona!
Vivere in una piccola città molto chiusa in sé stessa non lascia avere un grande respiro sulle cose e non aiuta mai a capire quanto di buono "musicalmente parlando" ci possa essere intorno a noi. Le più blasonate Nashville, Austin, Memphis poco hanno da invidiare alla qualità dei nostri artisti Riminesi così come le "grandi città" italiane... insomma guardiamo cosa è passato sul palco di Risuona Rimini domenica 7 settembre (lo dico anche a chi era a sgomitare per una piadina alla adiacente festa de borg) ...è passato di tutto, blues, rock, pop, canzone italiana, teatro... ad un livello ed una qualità che a pensarci bene mi hanno, per una volta, fatto sentire orgoglioso di vivere in questa città.
Forse il fatto di conoscerli più o meno tutti, di potersi fermare a scambiare due parole o a bere una birra insieme dopo un concerto può farli apparire "normali" o il fatto che "loro non se la tirino" li posiziona in una categoria più bassa di altri?
Guardo la qualità, la capacità di scrivere grandi canzoni e la forza e l'energia nel proporle su un palco, sera dopo sera, sempre con la stessa intensità, voglia di divertirsi e di divertire, di comunicare e di credere sempre e comunque in quello che stanno facendo nonostante le difficoltà che possano incontrare. Io sono fiero ed orgoglioso di conoscerli, di poterli ascoltare e di poter dire al mondo ...sentite un po' che razza di musica si suona a Rimini!!!
Può esserci un clima ed un modo di vivere Rimini diversamente, lasciamo che i nostri artisti invadano i locali, le piazze e i teatri, andiamo ad ascoltarli ancora ed ancora riempiamoli tutti questi luoghi, facciamo in modo che ogni sera in più posti ci sia qualcuno che proponga la propria musica che alla fine dei conti è la NOSTRA musica, siamo orgogliosi di quello che abbiamo e non vergognamoci di ascoltare "la nostra roba" al posto di quella che fa virtualmente più fico!
Facciamola questa rivoluzione musicale sosteniamo i nostri musicisti e la nostra musica, armiamoci e partiamo, scrolliamoci di dosso la tv il divano e la pigrizia serale... ce la possiamo fare!
A tutti voi che provate, caricate, montate, suonate, smontate e il giorno dopo lavorate dico... avete la mia stima, il mio rispetto e il mio sostegno e come me sono convinto che tanti altri la pensino così.
martedì 9 settembre 2014
Respect
Una volta c'erano i negozi di dischi, Raistereonotte, Mucchio Selvaggio, Buscadero, Velvet, Rockerilla... in media riuscivo ad ascoltare 3 dischi su 10 di quelli che acquistavo e dei rimanenti, 5 in media erano stati una buona scelta... i restanti due non sempre azzeccati. Bisognava interfacciarsi e trovare le giuste sinergie col recensore di turno o riuscire ad ascoltare qualcosa tra i solchi dei vinili messi a disposizione dai generosi gestori dei negozi! Il dibattito che ne nasceva era solo ed esclusivamente sulla scelta... "se avessi potuto ascoltarlo forse non lo avrei acquistato" (anche se non sempre questa affermazione corrispondeva al vero perchè un disco, che piaccia o no è un disco, un tesoro prezioso, comunque musica, comunque una emozione e lo avrei comunque portato a casa). Ora tutto è cambiato, ora c'è spotify, c'è youtube e prima di acquistare un disco ho tutte le opportunità per ascoltarmelo in lungo e in largo.
Dopo questo mi nascono spontanee due riflessioni.
1. Mi manca assolutamente il gusto della scommessa, della conquista, dello stupore... il tornare a casa con un disco chiuso, effettuare i riti del caso (apertura, annusamenti vari...) ed ascoltarlo per la prima volta, lasciarmi pervadere e lasciare fluire tutte le sensazioni... manca assai!!!
2. Non sopporto i dibattiti in merito, le recensioni tecnico-rimembranti e i giudizi sparati su qualsiasi piattaforma virtuale o cartacea che sia. Se un disco mi piace lo compro e lo ascolto, altrimenti non lo compro e non lo ascolto. Nessuno è più obbligato a comprare un disco a scatola chiusa e incazzarsi perchè si aspettava di più...
La musica che ascoltiamo è bella, non deve rispettare tempi, bpm, suoni o trend radiofonici e discografici. Io penso che un artista "dei nostri" se se ne esce con un disco, lo faccia perchè è convinto di avere qualcosa da dire, quello che in quel momento della sua vita vuole dire a noi tutti. Come tutto nel mondo può incontrare totalmente, o in parte o per niente il mio favore... ma mi sento comunque di rispettare, lui, lei, la band, chiunque abbia buttato anima e corpo in quel disco lo stesso rispetto che sento di avere sia per le band locali sia per qualunque nome di una Major (stronzo o simpatico che sia)... la musica arriva e lascia un segno e rispetto e ringrazio tutti quelli che fanno questo "sporco mestiere" senza i quali sarei completamente smarrito.
lunedì 19 maggio 2014
Chris Cacavas & Edward Abbiati - Me and the Devil
A reason to believe
Nonostante conosca Ed da tempo, quando sto per ascoltare un suo lavoro provo la stessa emozione di un "primo appuntamento".
Dovessi paragonarlo ad un eroe Marvel sarebbe Mystica perchè non so mai quale parte della sua anima mi apparirà davanti premendo il play del lettore. Io ti adoro Edward Abbiati perchè ogni volta lasci un po' di te dentro ogni canzone. Me and the devil è un colpo di scena dopo l'altro, imprevedibile più di un romanzo di Crichton. Ogni brano è cosparso da lacrime, sudore e sangue, ogni canzone è un colpo d'ascia ben assestato che toglie pregiudizi, aspettative e speranze e scava diritto fino all'anima della musica.
La definizione soul è stata data a un genere musicale, ma in questo caso sento che questa è la musica della mia anima. L'inizio è sconvolgente e mi scaraventa all'interno di un nuovo mondo dell'Abbiati Sound, un po' come entrare nell'armadio di C.S. Lewis: un mondo conosciuto ma nello stesso tempo ancora tutto da scoprire, pieno di nuovi paesaggi e creature dove ogni certezza viene minata, dove ancora una volta Ed mi chiede di fidarmi... ed io lo faccio, sono completamente nelle tue braccia Ed, puoi portarmi dove vuoi ed io ti seguirò.
Back Against The Wall arriva al petto come una wrecking ball e colpito, cado in un'oscurità umida e calda dove rimango invischiato tra le sue fitte trame e vengo salvato dal sax come il suono del nautofono guida in porto i naviganti. Ipnotica e maledetta.
Me & The Devil potrebbe annoverarsi tra le file di un soul ruvido e sporco che mi lascia ad annaspare tra le acque limacciose di un fiume in piena, giusto il tempo per tirare fuori la testa per una boccata d'aria e poi vengo trascinato a peso morto nei gorghi creati dal suo scorrere tumultuoso.
Oh Baby Please mi trova ad addentrarmi in una foresta, il sole attende nelle radure mentre attraverso bui corridoi di alberi minacciosi e rovi neri, il cuore batte ad un ritmo insolito mentre corro all'impazzata verso la fine del brano per trovare riposo in riva ad un lago con The Week Song. Qui trovo Ed seduto ad aspettarmi: lo riconosco nella sua vena compositiva ma è vestito di altri suoni ed in compagnia di Chris.
Hay Into Gold è un ristoro per la mia anima già provata da così tante emozioni, è un incontro con qualcuno che mi appoggia la mano sulla spalla e mi accompagna su di un tratto di un sentiero soffice e profumato. Ho il cuore gonfio di gratitudine e mi commuovo di fronte a questo panorama straordinario che mi trovo innanzi.
Lo scenario cambia repentinamente, fa caldo, la bocca mi si asciuga e gli occhi sono due fessure, non me l'aspettavo ... questa Cant Wake Up mi catapulta su sabbie rosse dove serpenti scivolano tra rocce e cespugli così come lo fa la voce di Ed tra l'armonica e la "slide". Un luogo magico e incantato, che viene riportato da Long Dark Sky su terreni sconnessi e sassosi, bagnati dalla pioggia de in cui la voce di Chris arriva come un fulmine a colpire direttamente il petto e io non posso fare altro se non accartocciarmi nel riff e rotolare lontano trasportato dalla rarefatta melodia di The Other Side, dove ancora Chris sembra avvolgere tutto sotto un manto magico e rimango a testa in sù a girare su me stesso in cerca di punti di riferimento celesti, ma presto perdo l'orientamento e mi abbandono totalmente alla canzone che, come una bussola, mi guida diretto al centro dell'anima.
I'll See Ya è leggera come lo sbattere d'ali di una farfalla che compie evoluzioni sul mio volto abbandonato in una nuvola di pensieri e di emozioni, tutto intorno a me è bianco abbagliante ed ho voglia di sorridere.
Rest Of My Life mi trasporta in luoghi conosciuti: è ora di rientrare in quella porta, giusto il tempo di gettare un ultimo sguardo a quel mondo che ho appena esplorato che mi ha letteralmente rapito, dal quale non vorrei mai più uscire e in cui vorrei tornare al più presto.
Proprio come dopo un "primo appuntamento" sono disorientato, euforico e curioso di approfondire la conoscenza con il disco, con questa coppia che mi ha emozionato attraverso la propria musica e le proprie storie, quella musica e quelle storie nelle quali ho trovato la vita, brandelli d'anima e pulsazioni cardiache che battono all'unisono con le mie.
Quando mi colpisce così, capisco una volta di più quanto la musica sia vitale per me e quanto conti che ci siano Ed e Chris a darmi nuovamnete una ragione per crederlo.
lunedì 21 ottobre 2013
Breathe owl breathe - Passage of pegasus
Senza via d'uscita
Un disco ha la sua anima, il suo carattere una sua personalità. Un disco è come un riflesso dell'anima, risponde a quello di cui ho bisogno in un determinato momento della mia vita e continua a farlo perchè dentro di esso avrà sempre le risposte che cerco, può cambiare il tempo, l'età, l'umore, può cambiare qualunque cosa ma un disco per me resterà sempre uno specchio della mia anima. Un disco è fedele, è sincero e non mi nasconde mai nulla. Uno stesso disco può darmi in momenti diversi sensazioni diverse dalla pace alla disperazione, dalla gioia al dolore, da una stretta allo stomaco ad una risata a crepapelle. Un disco paca od ingigantisce i miei stati d'animo, un disco mi fa pensare, mi fa sognare mi porta ad uno stato di consapevolezza di me stesso, della mia condizione che nulla al mondo potrebbe riuscire a fare. A volte mi capita, e questo è uno di quei giorni, di imbattermi in cose come l'ultimo di Breathe owl breathe... che risulta essere devastante... e allora tutto cambia, tutto assume una luce diversa e capisco che quello che pensavo, che credevo e che speravo, oggi non è più valido. Passage of pegasus, questo è il titolo, mi ha resettato, mi ha tolto il fiato è un inizio, è una fine ma non è una risposta, resta sospeso, indecifrabile scolpito sulla mia pelle come una cicatrice che non riesce a rimarginarsi completamente che ascolto dopo ascolto si apre e poi si chiude ed ogni volta mi lascia con le bende in mano a chiedermi perchè continui ancora ad ascoltarlo, perchè nonostante tutto, continui ancora a farmi inondare da lui e quante pareti dovrò continuare a spezzare per arrivare alla sua verità senza continuare a ferirmi senza che un giorno mi invada e l'altro mi getti nella polvere? Un disco che non mi lascia il tempo di sognare perchè subito mi chiude ogni strada che pensavo avesse aperto. Mi è impossibile rinunciare quindi non mi resta altro da fare che continuare a perdere e a perdermi dentro di lui.
giovedì 17 ottobre 2013
Houndstooth - Ride Out The Dark
Io + Houndstooth = Anime gemelle
Ci sono dischi e dischi, quelli che mi piacciono e quelli che non sfango, quelli che ascolto una volta e poi basta e quelli che mi provocano un ascolto compulsivo, quelli che tengo da anni sull'ipod e quelli che non ci stanno ma che vorrei tenere sull'ipod, ci sono dischi stagionali e quelli umorali, si sono i dischi da macchina e quelli da cuffie infine ci sono i dischi che mi si impiantano dentro e sono quelli che preferisco. Il loro funzionamento è simile a quello di un pacemaker, regolano l'afflusso del sangue e fanno battere il cuore assecondando l'intensità delle canzoni, sono quelli che entrano direttamente dalla pancia e soprattutto sono quasi sempre quelli che meno mi aspetterei che lo facessero... bene, Ride Out The Dark è uno di quelli. Nella mia vita mi è capitato raramente di conoscere una persona e sentire come se la conoscessi da sempre (le volte si contano sulle dita di una mano), con i dischi mi è capitato un po' più spesso... questo è uno di quei casi. Cosa hanno in più Houndstooth? francamente non lo so e altrettanto francamente non mi interessa indagare, so solo che provocano dentro di me un moto di familiarietà, una corrispondenza di un legame inconscio a qualcosa che sapevo esistere da qualche parte e che ora o trovato, insomma una risposta ad una richiesta subliminale. Entrando nel merito, ci sono due brani che sopra tutti gli altri mi fanno aumentare le pulsazioni: Baltimore e You Won't See Me, le restanti 8 mi fanno cadere in uno stato tra il catatonico e l'ipnotico, non hanno nulla di straordinario ma nello stesso tempo non riesco a staccarmi da loro, sono come 8 cerotti applicati su altrettante ferite che restano lì a coprirle a prescindere dal fatto che si siano abbondantemente rimarginate. C'è la chitarra di Thunder Runner che mi rimbalza dentro come un mantra; il mid tempo di Baltimore che mi suscita ad ogni ascolto un sorrisino idiota; il lento incedere di Canary Island che mi lascia come un'equilibrista sulla sua corda in balia del suo ondeggìo con quella sequenza di quattro accordi e la tastiera e la steel ad aiutarmi a mantenere l'equilibrio; la melodia di Bee Keeper che ogni tanto spalanca le sue porte per lasciare filtrare la luce nella penombra che riesce a creare intorno a me; l'apatia contagiosa di Strangers con il suo sbilenco assolo; poi c'è la luce fioca e tremolante di New Illusion che mi attira a sè come una falena attirata da una lampadina; Wheel On Fire è inesorabilmente accattivante, mi ammicca e mi sorride e io cedo irreversibilmente alle sue lusinghe; i 4.51 minuti di Francis potrebbero essere 4 secondi come 4 ore si avvolge e riavvolge su se stessa senza lasciarmi una via d'uscita; la lentezza di Don't I Know You è quasi irritante...eppure..., infine You Won't See Me... il capolavoro del disco, è tutto quello che penso, che sento e che provo, in questo momento sono tutto dentro questa canzone, la adoro.
La voce sembra provenire da un'altra dimensione, da un'altra epoca, le costruzioni sonore richiamano il pop, il paisley underground... ci ritrovo i Velvet Underground insieme ai Belle and Sebastian e i Jesus and Mary Chain le atmosfere sono già sentite, sono cose già vissute eppure è più forte di me, è come se un magnete mi attirasse inesorabilmente verso queste 10 tracce ed ogni volta che tento di staccarmi da loro è li pronto ad aumentare il suo campo magnetico. Sono canzoni semplici, a volte sussurrate, sostenute da hammond, chitarra ed un basso e una batteria coi quali le pulsazioni entrano in simbiosi. La domanda che mi sono autoformulato all'inizio, alla fine di questa sommaria analisi rimane inevasa... cosa abbiano in più gli Houndstooth non lo so, forse niente... fatto sta che questo disco mi piace da morire.
Miami & the Groovers - No Way Back (CD+DVD)
Una magia formato tascabile...
Il silenzio assordante che è calato sull'uscita di No way back è qualcosa di misterioso, incomprensibile ed enigmatico... Quante band indipendenti in italia sono in grado di pensare, realizzare e produrre un CD e DVD Live, di curarne il packaging fin nei minimi particolari e di venderlo a 18€? Amiche ed amici delle Backstreets... io dico che un avvenimento così andrebbe pubblicizzato e consacrato come una ricorrenza straordinaria, ma citando Laozi: fa sempre più rumore un albero che cade di uno che cresce e le grandi cose prodotte dalle band italiane che si spaccano la schiena, che gettano l'anima e che macinano km e km in giro per il paese sono "meno interessanti" di un qualsiasi cofanetto commemorativo con due bonus tracks di un cazzone americano qualunque.
Due concerti nella bomboniera del teatro Comunale di Cesenatico gremito fin nei suoi ultimi posti, tanto calore, tanto entusiasmo e tanta energia per una band che semplicemente porta il r'n'r in giro per farci divertire e che per una volta ha voluto racchiudere tutto questo dentro un contenitore audio e video portatile, per dare a tutti l'opportunità di poter vivere in qualsiasi momento lo desiderino, un sanguigno concerto.
Le canzoni contenute nel CD non corrispondono a quelle presenti nel DVD che è ricco quindi di altri brani, interviste, dietro le quinte ed entusiasmo di pubblico. Quello che mi ha colpito è che i M&TG sono riusciti nell'impresa più difficile cioè quella di riportare le emozioni in 4D dentro un supporto 2D, vi sono riusciti quasi totalmente, l'unica mancanza è quella delle storie di Lorenzo, qualcosina in più l'avrei inserita... per il resto direi che il tutto si presenta molto bene, molto buoni i suoni, belle le riprese fatte dal Merlo Produzioni e una grafica stilosa curata come sempre con grande attenzione dallo Studio 75. Le canzoni le conosciamo tutti, molti a memoria come si può vedere dal video, con quel pizzico di "live" che le rende ancora più vive e pulsanti. Un concerto lascia sempre qualche cosa di più di un ascolto di un disco in studio in macchina o in cuffia e le canzoni per un certo verso appaiono sempre un po' più magiche, bene, quella magia la si può trovare dentro No Way Back, un raro esempio di come le cose possano essere fatte bene e che non occorre prendere un aereo per trovarne di migliori, a volte basta usare i piedi, e il cuore. No Way Back è per non dimenticare, per cantare e perchè no... per emozionarsi ancora ed ancora.
martedì 4 giugno 2013
L'autoanalisi di prima mattina...
Questa mattina il Gr di Radio24 delle 7.00 ha ricordato che sono passati 28 anni da quando Springsteen suonò per la prima volta in Italia a Milano. Ho pensato a me 28 anni fa in quello stadio, un universitario di belle speranze, spensierato, con la musica nella testa e con tante idee (a volte bislacche). Mi guardo, 28 anni dopo e mi scopro ad avere esattamente come allora ai piedi un paio di Nike, addosso un paio di jeans sdruciti e tagliati, una tee ed uno zaino in spalla. Continuo ad avere idee (a volte bislacche), delle speranze e la musica sempre in testa. Apparentemente (capelli a parte) non sembra essere cambiato niente a parte il fatto che sono diventato grande, ho un lavoro, una moglie, un figlio e una vita alle spalle e quel signore con la bandana in testa per il quale 28 anni fa avrei dato tutto pur di poterlo vedere suonare ora mi regala solo una enorme tristezza. Sono cresciuto essendo me stesso, facendo enormi cazzate ma anche tante cose giuste, la musica che ascolto si rinnova giorno dopo giorno e le emozioni che mi regala sono sempre quelle belle che mi ha sempre regalato, se nell’85 erano i Prefab Sprout, ora sono i British Sea Power... credo di essere un figlio del mio tempo, a volte mi piace giocare con i giochi dell’Intellevision ma non vedo l’ora che esca l’XBOX One per poterci giocare ore ed ore con mio figlio, a volte mi capita di ascoltare Lloyd Cole, Smiths, Springsteen ma poi dopo quel momento mi metto a ballare con Phoenix, a sognare con Noah and the Whale e a cantare con i Guards. Certe cose mi hanno fatto crescere, non le rinnego, sono parte di me e lo rimarranno per sempre, ma ora sono un altro, tutto quello di cui ho bisogno è di vivere ora e qui, non ho bisogno di riti collettivi o di ricordare i bei momenti passati o le emozioni di adolescente per sentirmi vivo, sono vivo e sono qui (questo però lo diceva già Baglioni...) l’unica domanda che mi pongo è: ma come dovrebbe vestirsi un quasi cinquantenne? non lo so... io continuo a mettere le mie Nike col baffo azzurro, i jeans sdruciti e tagliati, una tee e lo zaino in spalla e continuo a vivere di questo tempo in questo tempo.
sabato 23 febbraio 2013
Mojo Filters - The Readhill Songs
Romano Farina Photo |
Rock on the tracks
Uniti sotto un'unica stella, quella del r'n'r! La parola globalizzazione che fino a qualche anno fa riempiva la bocca di tanti e di troppi ora sembra essere diventata una parola Tabù. Per fortuna il nostro mondo è fatto di note e in questo universo fatato quando la musica è buona ed è rock suonato come dio comanda non si fanno distinzioni di sesso, di razza, di lingua e di nazionalità. I Mojo Filters sono italiani e la cantano e la suonano che è una meraviglia. Chitarre affilate come lame di rasoi, assoli che penetrano nella carne come coltelli e voce che incide come un bisturi... non è una sala operatorie è semplicemente The Readhill Songs. La musica proposta da Mojo Filters si può identificare con la parola Rock nella sua accezzione più ampia, i nostri ripercorrono le strade di una musica che vive e pulsa fin dagli anni '70, una musica che continua a regalare le stesse emozioni da più di 40 anni. Quello che mi fa veramente incazzare è come questo tipo di musica, non possa trovare un suo spazio in italia, quando in tutto il resto d'europa e del mondo è tra le più apprezzate e ricercate. Mi domando come band come Mojo Filters e Cheap Wine (per fare i primi due nomi che mi vengono in mente) debbano cercare spazio in lande straniere quando "fior fior" di giornalisti collocano band statunitensi, per la maggior parte delle volte di livello inferiore alle nostre, come nuovi astri nascenti del rock. Ma se uno è nato in italia è obbligato per forza a cantare in madre lingua per essere tenuto in considerazione? L'assurdità di vivere in un paese come il nostro rende ciechi su quanto questo disco possa porsi a livelli ben più alti se posto a confronto con più blasonati e super considerati concorrenti d'oltre oceano come Rival Sons.
The Readhill Songs è un grande disco, al suo interno vi sono talmente tanti ingredienti che per coglierli tutti non basterebbe un'intera giornata di ascolto continuo. Porsi davanti a questo disco con l'atteggiamento di chi dice: ecco un altro disco di una band rock italiana che canta in inglese è l'azione più arrogante, saccente e superficiale si possa compiere. Ogni brano è un piccolo gioiello, per la cura e l'attenzione ad ogni minimo particolare, per la scelta degli strumenti e per il giusto equilibrio che porta con sè. L'assolo di The black ship o di Closer to the life non ne sono che un piccolo esempio e poi i fiati di Beautiful June Day, una di quelle songs da ascoltare a nastro per quanta poesia porti racchiusa dentro di se. I mojo Filters ci mettono l'anima e questo si coglie in ogni accordo e in ogni nota del disco, questa musica è la loro vita e riescono nell'impresa più difficile per qualunque gruppo al mondo, quella cioè di riuscire a passare quello che sentono, quell'amore viscerale che provano per la musica, a chiunque li ascolti. The Readhill Songs mi sta regalando emozioni dai sentori ancestrali, senza andare nel passato più remoto ho qui, ora, tra le mie mani un disco che è rock, suona rock e parla di rock a chiunque sia disposto ad ascoltarlo.
venerdì 22 febbraio 2013
Hernandez & Sanpedro - Happy Island
Adriatic Coast Sound
La scena rock e cantautorale che una volta era di casa sulla via Emilia, in questi ultimi anni si è trasferita definitivamente tra la Romagna e l'Adriatic Coast. Ultimi arrivati ad aggiungersi al nutrito gruppo sono Hernandez e Sanpedro. Il loro Happy Island è un'opera prima fatta di pezzi originali, ricca di riferimenti e di belle canzoni, ben arrangiate e suonate. Come ogni esordio risente delle influenze che i nostri si portano dietro nel loro bagaglio costruito da tanti concerti live dove hanno reinterpretato cose di Neil Young, Pearl Jam, Bruce Springsteen, Jayhawks, Rem... Folk rock nella sua espressione più pura dove si intravedono echi di West Coast (The Hardest Part), sferzate di energia (Turn On The Light), tra Western e R.E.M (Don't Give Up On Your Dreams), un disco di Americana allo stato brado.
Ci sono poi le ballate che ben si alternano e si amalgamano alla perfezione nella playlist costituita di 10 brani, evocative e mai scontate che elargiscono una buona dose di pathos.
Il disco si ascolta che è una bellezza e porta una ventata di aria fresca che, anche se già respirata tante volte, non odora di stantio perchè trasmette la tutta voglia e tutta la gioia di fare musica di Luca "Hernandez" Damassa (voce solista e chitarra acustica e Mauro "Sampedro" Giorgi (chitarra solista e cori).
Happy Island è proprio un'isola felice per chi come me ha una certa età ed è cresciuto ascoltando questi suoni, ma resta un buon biglietto da visita per chi, più giovane, si volesse addentrare nelle storie di una musica che ha costruito una storia. Inserito nel lettore cd dell'auto, il disco si ascolta che è una meraviglia, anche se la "morte sua" è ascoltarlo in cuffia, in riva all'adriatico con il sapore del sale e l'odore del mare, sferzato dal vento che mi immagino possa portare queste note dalla nosta "coast" dove nella seconda metà dell'800 si suonava musica con gli stessi strumenti che dall'altra parte dell'oceano avrebbero poco più tardi dato origine a queste armonie che ritroviamo ora in Happy Island.
giovedì 21 febbraio 2013
Daniel Pearson - Mercury State
Smoke for the soul
Non è possibile e non è neppure legale che possano mettere in commercio dischi come questo Mercury State. Come minimo dovrebbero scriverci sopra "Attenzione crea assuefazione". Fu così che... incominciai ad ascoltarlo un po' alla volta, come quando da adolescente ho comperato il primo pacchetto di Marlboro da 10, la prima è per provare, per vedere che effetto fa, per assaggiarne il sapore, per sentire cosa c'è di particolare nell'aspirare fumo, così è stato per Factory Floor, una boccata di fumo che mi ha riempito i polmoni, mi ha tolto il fiato, quel fumo rarefatto di note dentro di me che non volevo più fare uscire, che ho cercato di trattenere fino ad esplodere fino a che non ho assaporato quel gusto amaro ma tanto affascinante che mi ha lasciato la voglia di continuare... La seconda è per vedere se è come la prima, ma Promises non è così, è elettrica, sto imparando ad aspirare e questa mi graffia la gola ed ha un sapore diverso, sto incominciando a prendere una certa confidenza. La terza mi provoca il classico capogiro, la vista si annebbia e devo sedermi per poterla finire tutta, I Still Believe è proprio una bella botta, fatta solo di piano e voce, ho lo stomaco sotto sopra e mi dico, basta, non posso star male così per una canzone, quattro accordi e una manciata di parole non possono ridurmi come uno straccio, la lascio consumarsi tutta, fino in fondo, fino a bruciarmi l'indice ed il medio. Fumare è anche cool, e Hard Time è una soundtrack più che adatta all'occasione, così la quarta mi fa guardare il mondo dall'alto verso il basso, io con questa sono fico, nulla mi può accadere e soprattutto riprendo coscienza di me stesso e incomincio ad avere consapevolezza del mio nuovo status e, detto sinceramente, mi piace assai. Accendo la quinta e il mondo intorno a me ha tutto un altro aspetto, ormai sono un fumatore di Daniel Pearson, il sapore di Rat Race si mischia ad altri sapori conosciuti, mi è familiare, mi rassicura, sono presente, sono io, mi muovo disinvoltamente, sono a mio agio. I problemi insorgono con la sesta, perchè All is not lost mi toglie il fiato, mi porta sull'orlo di abbandonare il mio nuovo status, fa troppo male, preme sul petto, mi fa tossire, mi spinge fuori qualunque cosa trattenessi dentro di me, mi fa piangere e il fumo e le lacrime scopro che vanno molto, ma proprio molto d'accordo. Quando ho un pacchetto di sigarette che stanno per finire, non mi preoccupo perchè non penso a quelle che ho già fumato, ma ottimisticamente a quelle che ancora mi restano con le quali, riuscirò a finire la giornata e così la settima è Medication che mi risolleva e mi fa provare il fascino di una corsa in auto col finestrino aperto e mi fa sentire tanto James Dean e mi fa sentire di nuovo il padrone del mondo. Non so per quale associazione particolare ma la zighi col caffè è uno dei momenti che preferisco, un momento bello che mi da più piacere degli altri, così l'ottava, Old Friends, ha il gusto delle cose belle, dei buoni ricordi, di quei momenti che non dimenticherò mai, un volto, un attimo, uno sguardo, un gesto sono tutti lì, in quello sbuffo di fumo che odora di caffeina che si innalza verso l'alto come una richiesta di aiuto, nella speranza che quei momenti non finiscano mai e che possa viverne tanti, tutti i giorni. La nona è quella dei pensieri, dell'attesa, fumo Lights appoggiato ad una colonna, lo sguardo fisso all'orizzonte a veder scorrere la vita e a fare i conti con il passato ed il presente fregandomene del futuro, si consuma in fretta, forse troppo, come non avrei voluto che accadesse, mi sarebbe piaciuto fosse durata in eterno, come una boccata senza fine. Io mi perdo dentro di lei a gustarmi ancora e ancora, il suo odore e il suo sapore... ne vorrei ancora ma sono finite perchè la decima sigaretta, ho pensato di offrirvela, consideratela come un invito all'ascolto di questo Mercury State, ma attenzione, come ho già detto provoca assuefazione e gravi malattie gastro-cardiache ma solo a coloro che sanno respirare la musica a pieni polmoni...
giovedì 14 febbraio 2013
Plantman - Whispering Trees
Io, un po' Dorian Gray...
Non so quale sia esattamente la mia risposta addominale e neuronale ad alcuni tipi di sollecitazioni, mi rendo conto che tanto più mi voglio allontanare con forza da qualcosa con la mente, tanto più la mia pancia esercita una forza pari e contraria per farmi tornare dentro. Forse è una situazione comune a tante persone ma per quel che riguarda il mio caso, le mie ossessioni prendono il sopravvento su tutto ed irrazionalmente ecco che, immancabilmente imbocco il tunnel nel quale rimarrò per certo intrappolato a lungo e più fa male, più è buio e più è pieno di curve più io, incomincio ad abitarvi. Purtroppo o per fortuna, a volte purtroppo... è così per tutto e capita che in un certo periodo della mia vita, un determinato anno in un determinato giorno, arrivi inesorabilmente un disco, acquistato per essermi invaghito della copertina, a farmi crollare emotivamente, che riesce a gettarmi nella più completa e perfetta ascesi emozionale. Wispering Trees è la risposta a tutto, è l'insieme delle aggrovigliate emozioni, è le parole che non riesco a dire, è la sintesi dei miei pensieri, è il mio io riflesso nella sua musica, nelle sue parole... tutto quello che sono e che voglio essere ora è qui, racchiuso all'interno di queste 15 canzoni che sfiorano l'anima, accarezzano il cuore e rassicurano la mente. Cosa sia non lo so, ma ancora una volta la musica è la risposta a quello che vorrei esprimere a quel groviglio di pensieri, emozioni e sentimenti altrimenti senza sbocco alcuno, non è un disco liberatorio, è un disco che mi comprende, mi abbraccia e mi fa sentire in pace con il mio modo, non posso lasciarlo, mi tiene incatenato, in queste canzoni io ci sono, io esisto, fuori di queste sarei perduto. Forse, anzi certamente, l'intento iniziale di Matt Randall non era questo ma chi "spaccia" emozioni sa che chi è dall'altra parte poi coglie quello che lo colpisce di più e in questo disco io sto male ma sentire di stare male mi fa stare bene... ed è così, che dopo i primi tre accordi di Away With the Sun, ho già lo stomaco strizzato e fatco a deglutire e provo quella sensazione gratificante di non aver bisogno di spiegare niente a chi mi sta di fronte perchè sento che, anche senza parlare, mi ha già capito. Spirit Or Spell mi prende sotto braccio e mi porta in un bel parco dove il vento asciuga le lacrime, dove posso incominciare a respirare dove incomincio a realizzare di aver trovato conforto. Sto per proferire parola ma The Bitter Song lo fa per me perchè è la mia storia, perchè sta raccontando di me. Continuiamo a camminare e mi sento sollevato a poter emettere il primo respiro profondo grazie a Stickman, sorridere mi risulta complicato ma Whispering Trees mi mette addosso una certa euforia, di quelle che mi fanno anche compiere qualche goffo tentativo di muovere passi di una danza sconclusionata ma in un certo modo, liberatoria. You Wear the Crown mi riporta alla consapevolezza ed alla confusione, in quell'alternanza di coscienza ed incoscienza che mi è propria in questi momenti. Crackles mi rigetta nei miei vent'anni ed è un ricettacolo di ricordi confusi, di progetti iniziati e mai finiti, di momenti di vita passata vissuti con un impeto e un'incoscenza che rimpiango di aver smarrito col tempo. Così mi raggomitolo ancora con Doves Tail che traduce le occasioni perdute, quelle mancate, gli errori commessi, i dolori provati e le gioie vissute in un tremendo uppercut che mi lancia a terra, tramortito. Con Lunaria potrei trovarmi in ogni dove, in un qualsiasi momento della mia vita, Lunaria sono io, perso nelle centinaia di migliaia dei miei pensieri e delle mie emozioni che non trovano pace ed è proprio Old Ghosts (ironia della sorte) a rievocare tutti i fantasmi del passato e a far rivivere tutti gli errori compiuti e le situazioni irrisolte dalle quali non posso o forse non voglio uscire. May (Safe Hearts) è il riassunto di tutto quello che vorrei dire, è un mantra che mi tormenta, rappresenta tutta la mia incapacità di spiegare tutte le mie sensazioni contrastanti, il mio bianco ed il mio nero senza essere in grado di tracciare la benchè minima sfumatura di grigio, pur pallida che possa essere. Come può un disco raccontare così di me? come può una canzone stravolgermi a tal punto come Sleep On a Cloud? La musica non mi da risposte, mi compenetra, mi rende quello che sono, è contemporaneamente il mio eso ed endo scheletro, è la mia pancia ed è il mio cervello, è l'aria che respiro, è la gioia che provo ed è il dolore che sento Widescreen Heart è il mio esatto riflesso. Mi sento un Dorian Gray del terzo millennio ma per mantenermi vivo non ho bisogno del mio ritratto ma della mia immagine che trovo riflessa nella musica. Vini è il cuore che batte, è la paura, è l'ansia, è l'adrenalina che sale, è il desiderio di poter raggiungere qualcosa di straordinario ma sapere che non potrà essere, è rabbia, è frustrazione, è disperazione ma è anche ciò che è giusto fare ma so per certo che non riuscirò mai a razionalizzarlo... è come la pancia fuoriuscisse dal mio corpo. Melodica Forest è rassegnazione, è consolazione, è presa di coscienza... è la cosa giusta, è la strada che ho scelto verso la pace... ma è anche la fine del disco e so che dopo la fine c'è di nuovo l'inizio ed ecco che ricomincia tutto daccapo e Away With the Sun è già al suo terzo accordo, ed allora tutto ricomincia e non avrò forse mai pace o almeno fino a quando non troverò un altro disco nel quale perdermi, nel quale cercarmi, nel quale ritrovarmi, nel quale chiudermi in un abbraccio così intimo che non ho assolutamente più intenzione di sciogliere.
mercoledì 6 febbraio 2013
Eels - Wonderful, Glorious
Cast Away
Non so perchè ma quando ascolto qualcosa partorito dalla mente di Mark Oliver Everett ho come la sensazione di rtrovarmi sempre nei panni di un Robinson Crusoe naufrago su di un'isola deserta con tutte le ansie, le paure, le scoperte e le angoscie che questo comporta. Con ogni loro nuova uscita, gli Eels, mi lasciano perennemente spiazzato, è vero che alcune cose si ripetono come un marchio di fabbrica, ma quell'accordo che non mi aspetto, quei vuoti e quei pieni improvvisi mi fanno sentire come se dietro ogni cespuglio, ogni pianta, ogni duna di quell'isola non sapessi mai cosa aspettarmi. Insomma so che forse troverò cose che nella mia mente logicamente mi aspetterei di trovare ma quella sensazione di inaspettato, di ignoto rimane sempre e così, armato del solo machete, non mi resta altro da fare che innoltrarmi nella boscaglia che a volte lascia tutto al buio ed altre invece regala sprazzi di luce accecanti. Sballottato sulla sabbia umida mi ritrovo avvolto nell'atmosfera magica di Bombs away, incalzante tesa, cupa colma di ansie, se non fosse per quei momenti di quiete che lasciano aperta una inconscia speranza mi perderei nella disperazione del momento, ma proprio quegli attimi mi fanno pensare ... sono qui... mi troveranno. Kinda Fuzzy è intrigante, incute una curiosità quasi morbosa, è furba ed accattivante se non per quelle inquietanti pause nelle quali la voce di Everett sembra provenire da un punto imprecisato che sono incapace di discernerere se sia dentro o fuori di me. Accident phone è il momento che arriva dopo lo shock iniziale, è una presa di coscienza del mio status e mi vedo sulla sabbia asciutta al sole, ansimante mentre cerco di raccogliere i miei pensieri e di farmi forza, è l'incoscienza del momento che viene l'istante seguente polverizzata dal ritmo martellante di Peach Blossom, è ora di incominciare ad esplorare, ecco la sensazione della macchia che si fa a volte più fitta e più buia, altre lascia spazio a radure assolate che mi infondono il coraggio di proseguire. On the Ropes è dapprima un rumore di un ruscello che proseguendo, diventa concretamente pura acqua di sorgente dalla quale posso dissetarmi a piene mani, purificare il mio corpo e togliermi di dosso il sapore del sale, è acqua dolce, fresca e cristallina. La pace interiore appena conquistata viene presto disattesa dall'arrivo di The Turnaround, languida ballata che mi porta a riprendere coscienza del luogo in cui mi trovo, devo compiere una scelta, quella se abbandonarmi totalmente all'oblio che mi provoca o se continuare ad affrontare nuovamente il cammino alla scoperta dell'isola. Voto per la seconda opzione e New Alphabet mi ritrova divertito a menare fendenti con rabbia e disperazione e nello stesso tempo mi lascia spazi per riprendere fiato e per chiedermi se valga veramente la pena proseguire. Stick together alza i battiti cardiaci, è corsa, è affanno, è un cane che si morde la coda è paura di non approdare a niente... sto per impazzire, corro e grido. Il sole sta calando, sta arrivando la notte, mi sono perso e sono al culmine di un dirupo, mi siedo a contemplare le prime stelle e insieme a queste l'orizzonte che piano piano sta diventando un tutt'uno con il mare. Penso alla mia vita, con True Original, sento riaffiorare dentro di me solo pensieri belli e in questi trovo conforto, la mia vita ora è tutta qui con me, mi commuovo e piango a dirotto. L'oscurità mi ha avvolto completamente, Open my Present è un fuoco che arde, è la speranza che si fa strada nella disperazione è la mia occasione per farmi notare da quella lontana luce tremolante che, tra le tante che scorgo nel cielo, sembra diversa, sembra essere quella di una nave. You're my friend è un'attesa, l'attesa di essere visto, l'attesa di essere raccolto, è l'attesa che la promessa che porto dentro di me, di cambiare tutte le cose che non vanno nella mia vita, potrà avverarsi. La luce tremolante si fa sempre più vicina e distinta, I Am Building a Shrine mi gonfia il cuore, mi trasforma, mi fa credere di poter essere quello che non sono mai potuto o voluto essere, per mille motivi, e mi regala la salvezza. Mi hanno visto, mi getto a perdifiato giù per il dirupo, i piedi che fanno male, le gambe che tremano, la discesa sembra interminabile, io che urlo finalmente sulla spiaggia, il cuore che batte all'impazzata e finalmente, al minuto 2.10 di Wonderful, Glorious, ecco arrivare la tanto agognata salvezza! Vengo illuminato, trovato, salvato riscaldato, mi viene data una nuova opportunità, la mia vita riprende. Riuscirò a mantenere la promessa o tornerà ad essere tutto come prima? Questo sta a me deciderlo, vivere ogni momento come se fosse l'ultimo, vorrei fosse così... e così sarà. Ora, qui, ne ho la certezza.
Scrivere recensioni? no, non ne sono portato! Trasmettere sensazioni... quello ci provo... spero arrivino! Ancora una volta grazie E... per tutto.
N.B. Le 13 tracce fanno parte del disco ufficiale. Nella versione deluxe è presente un secondo CD con 4 inediti ed 8 tracce live. Vivamente consigliata.
martedì 29 gennaio 2013
Mattew E. White - Big Inner
Anche da adulto faccio oooh
Fin quando continuerò a meravigliarmi come un bambino davanti ad una cosa nuova, possa questa essere il mare, una conchiglia, i fuochi d'artificio o il pongo... vorrà dire che sono ancora vivo. Lo stupore che provo ogni volta che ascolto un disco è una stilla di vita e di gioia che mi fa essere più vivo che mai e un grido di stupore (oooooh), lo emetto veramente ogniqualvolta mi si presentano dischi come questo. I riferimenti musicali presenti in questo Big Inner sono tanti e potrei perdermi cercando di annotarli tutti, quindi non penso a quanti e quali gruppi si ritrovino in queste canzoni, quanto alle reminescenze care ed alle amate sonorità che hanno accompagnato la mia vita. Per utilizzare ancora a paragone l'animo dei bambini, l'esempio che più si avvicina a quello che provo è legato ai peluches.
Da piccolo avevo i miei animaletti, non erano soffici e morbidi come quelli di oggi, anzi erano fatti di fil di ferro e paglia, ma l'importante non era la sofficità, quanto poterli avere accanto. Ora quegli animaletti, ai quali avevo affidato nomi improbabili, giacciono chissà dove ma riguardando l'attaccamento che mio figlio ha avuto ai suoi, ecco che capisco che non mi mancano i miei peluches ma attraverso i suoi, riesco a rivivere il mio attaccamento verso i miei; è quella sensazione che non mi abbandonerà mai, quella intimità tutta mia che avevo costruito con i miei pupazzi, una cosa unica ed esclusiva, un meccanismo all'interno del quale nessuno poteva entrare, lo stesso che riesco da sempre ad instaurare con la musica alla quale rivelo cose così intime e collego emozioni che riaffiorano quando ascolto qualcosa vicino ad un certo sound. Quindi non è nostalgia, non è rimpianto, non è ricordo, è solo ri-vivere di nuovo quelle emozioni, provate più volte in un periodo diverso della mia vita, sentirle più vive che mai, semtire che mi mancano ma avvertire che sono le stesse, che posso ancora provarle, emozioni che assumono colori e sapori diversi ma che producono lo stesso calore e lo stesso abbraccio di sempre. Mi continuo a stupire per sonorità nuove e vecchie e per dischi come questo che trasudano un amore viscerale per la musica che mi penetra in profondità, che mi riempie, che mi lascia con la paura che possa finire ma con la certezza salvifica che questa musica c'è e rimarrà sempre accanto a me.
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